A METÀ DELLA NOTTE
A metà della notte mi risvegliai. E c’era
molta luce in casa. Sentii, lungo il corridoio,
un andirivieni di passi affrettati, voci
tristi e dolenti per non so cosa, e, in lontananza,
come un lento mormorio —sembrava— di preghiere
tra pianto e gemiti sussurrate. Senza dubbio,
qualcosa di strano c’era. Turbato, confuso,
chiamai con insistenza mia madre, ma nessuno
accorse in mio aiuto. Mi ostinai e alla fine venne
nella mia stanza, afflitta, la domestica, e dopo
avermi accarezzato e abbracciato, poverina,
mi disse come poté che mio padre era morto,
che era morto da poco, all’improvviso.
Compivo
sette anni io allora e aveva mio padre,
quando morì, la mia stessa età di adesso.
Sono passati quarant’anni e ancora
respiro quell’angoscia. Mentre la mano cerca
di scrivere questi versi, rivivo i momenti
terribili di quella notte ormai lontana.
Mia madre è seduta su una poltrona, piangendo
con pieno sconforto vicino al letto in cui giace
il corpo di mio padre. Io m’avvicino e la bacio;
le dico che non pianga, che non pianga. Il suo pianto,
veramente, mi commuove ancor più del cadavere
—così irreale, così solo nella sua calma—
dell’uomo che fino a ieri era il centro della casa
e giocava con me, mia sorella e mio fratello.
La morte trasfigura, traccia subitamente
un enigma sulla sua preda, e non riuscivo
quasi a riconoscere mio padre in quelle spoglie
misteriose, ermetiche.
Allora non lo seppi.
Ma oggi so che quelle ore in cui presi coscienza
del tempo e della morte spezzarono l’infanzia:
smisi di esser bambino.
La casa andò riempiendosi
poco a poco di gente. Familiari e amici
davano luogo con la loro presenza a molte
scene di dolore. La notte non avanzava.
Sembrava che mai potesse arrivare l’aurora.
Eloy Sánchez Rosillo
Traduzione di Gloria Bazzocchi